Sono ormai settimane che le tensioni al confine ucraino crescono. Gli incontri aumentano e i vari leader politici dialogano per capire meglio gli eventi di questi giorni e anche la NATO PA sta svolgendo degli incontri del consiglio interparlamentare NATO – Ucraina. Incontri sicuramente interessanti a cui però non potrò partecipare vista la concomitanza con l’elezione del nostro Presidente della Repubblica. Tra un voto e l’altro però c’è il tempo per una veloce e non esaustiva riflessione sul ruolo della deterrenza in momenti del genere lasciando spazio a qualche “what if“.

A tal proposito possiamo iniziare dalle definizioni di due tipi di deterrenza: il primo prevede una reazione ad un eventuale attacco (deterrence by punishment), mentre il secondo punta a rendere improbabile o estremamente costoso il successo di un eventuale attacco (deterrence by denial). Il primo si basa sulla paura che si è in grado di suscitare nel nemico collegata ad un eventuale potente contrattacco che renderebbe insignificante qualsiasi risultato ottenuto dall’attaccante. La deterrenza nucleare è un valido esempio di questo concetto. Il secondo si basa di più sulla capacità di rendere non profittevole l’attacco mentre questo è in corso, rendendo l’obiettivo, per esempio, difficile da conquistare o da mantenere. Negli anni la prima forma di deterrenza è diventata via via sempre più difficile da conservare, un po’ perché ci sono molti arsenali nucleari in giro e un po’ perché venendo meno la contrapposizione dei due blocchi della guerra fredda sono aumentate anche le potenziali minacce, diluendo la capacità di deterrenza. Per questo il secondo tipo di deterrenza, quello basato sul diniego, accresce la sua rilevanza.

Entrando nello specifico e riallacciandosi al discorso delle tensioni di queste settimane si deve ovviamente guardare anche l’area che si vuole mantenere tramite la deterrenza e se parliamo dei Paesi baltici non si può non parlare del corridoio di Suwalki. Una striscia di terra al confine tra Polonia e Lituania che metterebbe in connessione Kaliningrad con la Bielorussia tagliando fuori Lituania, Lettonia ed Estonia da qualsiasi aiuto via terra che potrebbe arrivare contro un’eventuale invasione russa. Questo pezzetto di terra non solo strategicamente darebbe un grosso vantaggio alla Russia ma sarebbe anche facile da difendere grazie alla capacità A2/AD (Anti Access/Area Denial) rappresentata principalmente dal famigerato sistema S-400 ma senza dimenticare il sistema Iskander con capacità nucleare che da Kaliningrad potrebbe raggiungere la Germania e se, come qualcuno ipotizza, i 400 km di gettata dichiarati sono solo per sfuggire al trattato INF, potrebbe arrivare anche a Berlino.

Questo elemento accentra il discorso su una particolare questione perché c’è chi fa notare come la NATO stessa dovrebbe avere una propria bolla A2/AD sull’area per aumentare la sua capacità di deterrenza by denial.

Magari parlare di certi argomenti potrebbe far credere che qualcuno voglia prepararsi per la guerra, come se fosse un evento quasi ricercato, ma spesso si sottovaluta il valore di certi aspetti ad un tavolo di trattative come sta accadendo da questi giorni. Più è alta la disparità tra il costo di un eventuale attacco e i “benefici” che può portare ad uno dei negoziatori e più facile sarà il lavoro dell’altro soggetto seduto al tavolo.

Un ruolo essenziale in questi termini lo stanno svolgendo i paesi baltici. Negli anni hanno raggiunto e superato il 2% richiesto dalla NATO, ma dovrebbero rivendicare maggiormente la loro autonoma capacità di resistere ad eventuali attacchi propagando maggiormente le loro capacità.

La propaganda di ciò che si potrebbe fare spesso è più importante di quello che si sa fare veramente in determinati contesti e momenti.

La NATO dal canto suo ha proseguito con esercitazioni proprio in quell’area (Trident Juncture su tutte ma anche Defender Europe che nel 2020 divenne famosa grazie alle teorie del complotto che vedevano una militarizzazione per via del Covid) utili anche per testare la mobilità militare che a questo punto diventa un elemento fondamentale per la deterrenza by denial e forse il collegamento più forte tra una eventuale difesa europea e la sinergia con la NATO.

Diventa ancora più importante questo elemento se si considera che dal punto di vista della difesa area ci sono non pochi problemi, non solo per la capacità A2/AD già citata ma anche perché tutti i punti nodali per una difesa area sarebbero il primo obiettivo da colpire in caso di attacco. Tutto questo può essere mitigato da un valido network ISR (Intelligence, Surveillance e Reconnaissance) tra Alleati.

I mezzi ci sono, basti pensare ai Global Hawk o, se guardiamo in casa nostra, ai nuovi mezzi CAEW e JAMMS ma diventa importante avere, come si diceva prima, la propria capacità A2/AD. Questa esigenza potrebbe portarci a superare le missioni di Air Policing che svolgiamo da molto tempo nei cieli baltici per arrivare ad una missione basata sulla difesa dello spazio aereo a 360°, tenendo in considerazione anche supporti marittimi come raccomandava l’ex SACEUR Gen. Breedlove, in modo da avere una capacità che può essere approntata all’evenienza anche in altre aree geografiche (ma qui si sta correndo un po’ troppo con il pensiero).

In questo momento in cui la tensione nell’area sta crescendo, anche se lo stesso Ministro della Difesa Ucraina Alexei Reznikov ha detto chiaramente che non ci sono ad oggi segnali di un imminente attacco, rimane fondamentale capire l’importanza della deterrenza, soprattutto quella by denial, in modo tale da allontanare il rischio di escalation con delle ripercussioni drammatiche non solo in termini di vite ma anche dal punto di vista economico con una crisi energetica che non avrebbe precedenti.