Qualche mese fa sono stato invitato alla cerimonia di apertura dell’Anno Accademico 2022/2023 del Centro Alti Studi per la Difesa. In quell’occasione ho potuto assistere alla Lectio Magistralis dal titolo “Decalogo della complessità” del Prof. Alberto Felice De Toni che collabora con il CASD.

La lezione mi ha colpito al punto tale da pensare che sia un peccato tenerla all’interno delle mura del CASD. Per questo ripropongo il video con una trascrizione del suo intervento.

P.S. a proposito di complessità, il testo dell’intervento è stato prodotto con un software di intelligenza artificiale. Ovviamente poi è stato rivisto ma ormai le applicazioni dell’IA sono giornaliere.

“Buongiorno, bentrovati a tutti. Ringrazio di questo onore che Giacinto Ottaviani ha voluto riservarmi. Ringrazio dell’attenzione il nostro Ministro Crosetto e il Capo di Stato Maggiore Cavo Dragone. Mi trovo a condividere con il CASD questo percorso di joint venture tra la Difesa e l’Università e credo che sia stata una grande idea e sono convinto che in questo modo siamo anche tra i primi in Europa a fare un’azione di questo tipo. Il titolo lo avete sentito “Decalogo della complessità”, dieci idee sulla complessità. Cercherò di essere sintetico perché il tempo che mi è stato dato sono 20 minuti.

Prima idea: la complessità è sempre esistita, quando la vita scorreva lenta come un pigro fiume, la complessità esisteva ma non veniva percepita. Oggi tutti se la sentono addosso perché il ritmo si è fatto serrato come un torrente vorticoso. Pensate, il primo sms fu spedito nel 1992 e oggi girano miliardi di sms, pensate che ci volevano 38 anni per la radio per raggiungere 50 milioni di persone, la televisione ci si mise 13 anni, Internet quattro, l’iPod tre, Facebook due. Gli utenti collegati a Internet nel 1984 erano 1000, nel 92 un milione, nel 2008 un miliardo, oggi siamo più di 5 miliardi collegati. E pensate che i dispositivi in IoT collegati oggi sono più di 20 miliardi. Quindi viviamo in tempi esponenziali. Il presente è sfuggente, il passato è lontano e il futuro è sempre più vicino. Citando Lewis Carroll nel famoso Alice nel paese delle Meraviglie, ora qui per restare nello stesso posto devi correre più veloce che puoi. Se vuoi arrivare da qualche altra parte devi correre due volte più veloce.

Secondo concetto: la complessità aumenta sempre. Parisi, a cui hanno dato il Nobel proprio sugli studi sulla complessità, ha fatto un bellissimo libro “In un volo di storni”. Lui perché ha studiato gli storni? Perché gli storni volano in maniera auto-organizzata, non c’è un capo, eppure applicando quattro micro-regole danno vita a comportamenti che sono anche eleganti e bellissimi da vedere. Le regole sono: i singoli sono consapevoli solo di chi gli sta più vicino. La seconda regola ognuno va nella direzione media. La terza è stare a una distanza pari a circa quattro volte la propria dimensione. E la quarta regola è che quando arriva un predatore si salvi chi può. Bene, queste quattro micro regole sono ormai cablate nel DNA e sono la fonte di questi voli complessi. Perché lo fanno? Perché molti occhi vedono più di uno e quindi quando arriva il falco pellegrino i primi che lo vedono applicano la regola quattro, gli altri applicano la regola due e quindi praticamente aumentano la propria esperienza. Quindi abbiamo capito che la complessità non è una cattiva parola, perché abbiamo capito che regole semplici generano comportamenti complessi che sono fonte di sopravvivenza. Quindi la complessità aumenta sempre, perché le specie, nella loro continua lotta per la sopravvivenza, cercano di rendere più competitiva la loro presenza in questo nostro pianeta.

Terzo concetto: è chiaro che esiste un lato chiaro e un lato oscuro della complessità. Il lato chiaro è quello degli storni. Il lato oscuro è quello del falco che la subisce. Quindi in pratica abbiamo una complessità che è amica quando è generata, come nel caso degli storni, o che è nemica come nel caso del falco che la deve subire. Se voi pensate quando passeggiate lungo un fiume al tramonto vedete tutti i moscerini che volano in maniera quasi impazzita, a zig-zag. Perché non se ne vanno via tranquilli, lineari? Qualcuno direbbe sereni. Perché non lo fanno? Perché la rana conosce la trigonometria, fa due calcoli e li mangerebbe tutti. Quindi, ancora una volta il volo complesso a zig-zag dei moscerini è fonte di sopravvivenza. Ecco, quindi, che noi abbiamo un lato chiaro, che è quello di chi la genera e un lato oscuro di chi la subisce. In questa battaglia continua abbiamo non solo l’azione di creazione di complessità, ma anche la reazione, come la rana che ha sviluppato una saliva appiccicosa e quindi è una continua battaglia. Quindi la complessità aumenta sempre. Quando un’azienda lancia un nuovo prodotto sul mercato crea la complessità di mercato e le altre aziende reagiscono. Quindi la complessità aumenta sempre.

Quarto concetto: la firma della complessità è la legge di potenza. Come facciamo a riconoscere un fenomeno semplice da uno complesso. Basta andare a vedere la distribuzione dei dati che lo descrive. Se troviamo la classica campana gaussiana, quello è un fenomeno semplice. Se troviamo invece un ramo di iperbole cioè una legge di potenza, allora quello è un fenomeno complesso. Cosa vuol dire? Che piccole variazioni della X danno grandi risposte sulla Y, è l’effetto farfalla. Quindi in pratica noi possiamo dire che la firma della complessità è la legge di potenza. Facciamo un esempio, negli Stati Uniti l’altezza media di un maschio è 1.70, il maschio più alto è arrivato a 2.70. Facciamo un esempio sulle città, le principali città americane del Seicento hanno una popolazione media di 166.000 abitanti. Secondo la legge normale sarebbe impossibile avere una città come New York, che ne ha quasi 9 milioni. Se la testa degli uomini fosse distribuita secondo la legge di potenza, il più alto sarebbe alto come l’Empire State Building. Quindi capite bene che abbiamo un modo potente per riconoscere la complessità: la legge di potenza.

Quinto concetto: la complessità si manifesta secondo modelli ricostruibili ex-post. Cosa vuol dire? Vuol dire che se un fenomeno è semplice, noi abbiamo il principio causa-effetto che ci spiega davanti all’effetto qual è la causa. E quindi che cosa dobbiamo fare? È molto semplice: riconoscere qual è la classe di appartenenza del problema e applicare il protocollo, perché il problema è già stato risolto in passato. Se invece il problema è complicato, noi abbiamo molte cause che concorrono a quell’effetto e a questo punto abbiamo bisogno di capire qual è la causa rilevante, qual è la principale. Quindi in questo caso lo schema è: analisi per capire bene qual è la causa dominante, poi dobbiamo pianificare l’intervento per implementarlo. Quindi lo schema è: analisi, pianificazione, implementazione. Ma se il fenomeno è complesso dobbiamo cambiare schema di comportamento. Perché? Perché i sistemi complessi sono sistemi dinamici che differiscono la loro traiettoria durante il fenomeno stesso. Facciamo un esempio: se volete andare da Roma a Milano in aereo e andate con un aereo con motori a reazione, la rotta, che è il modello, viene tracciata prima del volo e infatti il pilota la segue. Ma se voi andate in aliante la questione è diversa, perché devo arrivare a Milano però la traiettoria sarà sempre diversa in funzione dei venti che si trovano e delle scelte del pilota. Quindi in pratica nei modelli complessi cambia lo schema di comportamento. Bisogna agire sulla cloche e apprendere come si comporta l’aereo in funzione di quei venti e adattarsi. Quindi lo schema è completamente diverso. Non è analisi, pianificazione, implementazione, ma è azione, apprendimento, adattamento. Se il sistema è caotico, non emerge mai nessun modello. Se voi prendete l’esempio del doppio pendolo, non c’è mai la ripetizione sulla traiettoria. In quel caso lì la fase di apprendimento del modello non c’è più. Bisogna fare soltanto azione e adattamento. Quindi grande sintesi: se il fenomeno è semplice, noi sostanzialmente abbiamo che il dominio della relazione di causa effetto è chiara, c’è una risposta giusta e la one best way, è il territorio delle best practices, è il campo dell’execution e servono persone esecutive. Se invece il problema è complicato, le relazioni causa-effetto non sono subito evidenti, bisogna capire le più rilevanti e nel campo dello studio dell’analisi ci sono anche più risposte giuste e il regno è quello dei manager esperti. Se invece il fenomeno è complesso, il modello lo ricostruiamo al massimo ex post e la risposta è contingente, unica, irripetibile, storicamente formata, collocata nel link del “nunc”, è il regno delle persone adattative, capaci di agire, apprendere, adattarsi. Se il sistema è caotico, il fenomeno è totalmente imprevedibile. Non c’è alcuna relazione causa-effetto. Non emerge nemmeno ex post alcun modello e più che una risposta giusta, è importante una risposta rapida che funzioni e quindi è il regno delle persone intuitive e tempestive.

Sesto concetto: esiste il dilemma della complessità. Qual è il dilemma della complessità? Ashby, che era uno psicanalista inglese, aveva coniato, pensate nel ‘58, la “Legge della Varietà Necessaria”. Che cosa voleva dire? Vuoi controllare cinque livelli di temperatura? Il tuo termostato deve avere cinque livelli di controllo. Vuoi vendere in dieci paesi? Devi avere dieci lingue possedute e così via. Quindi per contrastare varietà esterne devi avere varietà interne. La sua frase molto famosa: “only variety can destroy variety”. Mentre c’è Luhmann, filosofo tedesco, che dice che non è vero perché la complessità del mondo è infinita e non puoi inseguirla continuamente. Quindi voi capite che avete due grandi atteggiamenti. C’è chi dice no, tu se vuoi dominarla devi contrastarla con altrettanta varietà interna. E c’è chi dice no, è sbagliato. E allora chi ha ragione? Hanno ragione entrambi. Perché esiste la curva della complessità. E ve la spiego. Immaginate la personalizzazione di un prodotto di un’auto. Immaginate che la personalizzazione sia messa in ascissa sulle X, più aumentate la personalizzazione e più aumenta il valore dell’auto, ma aumenta anche il costo dell’auto. In un’ordinata dove abbiamo il valore, voi avete che la curva alla fine è fatta a U rovesciata, cioè fino a un certo punto il consumatore è disposto a pagarvi la personalizzazione, quindi l’aumento di complessità del prodotto ma a un certo punto non vi paga più e quindi cala. E quindi avete già capito che nella prima parte della curva fino al punto di massimo ha ragione Ashby, aumentare la varietà paga, ma da quel punto di massimo in poi non conviene più inseguirla. Ecco quindi che ciascuno di noi deve capire nel proprio contesto com’è la sua curva e dov’è il punto di massimo.

Settimo concetto: la complessità del mondo sociale è la più elevata. Noi siamo immersi in tre mondi quello fisico della materia, quello biologico della vita e quello sociale delle relazioni umane. Abbiamo tre livelli di emergenza. Nel primo mondo c’è l’emergenza della materia, nel secondo mondo c’è l’emergenza della vita e nel terzo mondo c’è l’emergenza dell’autocoscienza, che è uno dei più grandi misteri. Abbiamo tre classi di evoluzione: abbiamo l’evoluzione fisica dell’universo, abbiamo l’evoluzione biologica, quella darwiniana, abbiamo poi l’evoluzione lamarckiana socioculturale che è intenzionale. Un grande matematico americano diceva che i sistemi passano da complessità disorganizzata a quella fisica, a sistemi sempre più organizzati quindi i sistemi sociali hanno la complessità più elevata. E perché? Perché ci sono tre classi di comportamenti, il mondo fisico ha un comportamento che è necessario, segue le leggi della fisica e della chimica. Mentre nel mondo biologico abbiamo che il comportamento è istintivo legato ormai a esperienze codificate. Nel terzo mondo abbiamo il libero arbitrio e quindi il mondo delle possibilità diventa infinito. Ecco perché il tema sociale è il più complesso. Ecco perché la politica è la cosa più complessa.

Ottavo concetto: complessità, paradossi e metamorfosi. L’intreccio nascosto. Qual è questo intreccio? Quando noi abbiamo due polarità, il primo modo di scegliere è il dilemma o l’uno o l’altro. Quindi partiamo con due elementi A e B e terminiamo con uno, o A o B. Il secondo modo per confrontarsi è la dialettica hegeliana abbiamo A e B che co-evolvono in C. Ma abbiamo anche un terzo modo di operare e che è quello del paradosso. Il paradosso è la persistenza degli opposti. Quando siamo di fronte a un paradosso, noi possiamo utilizzare il concetto della metamorfosi. Ovidio nelle Metamorfosi illustra la metamorfosi come risposta alle tensioni generati dai soggetti in gioco. Consideriamo ad esempio il mito di Dafne e Apollo. Dafne la cui verginità è minacciata dalle offerte amorose di Apollo chiede aiuto al padre Peneo e questo trasforma Dafne in un albero di alloro. Quando Ovidio descrive le Metamorfosi come somma di tanti piccoli cambiamenti, il busto si trasforma in tronco, i capelli in foglie, le braccia in rami, i piedi in radici. L’unico aspetto che si conserva è la luce del volto che migra nella lucentezza delle foglie. Nella nuova forma Dafne ha preservato la propria verginità, ma Apollo continuerà ad amarla usando la corona di alloro per incoronare i poeti. Quindi, nei paradossi, seguendo la logica di Ovidio, dobbiamo lavorare con la metamorfosi, cioè verso forme nuove che però mantengono all’origine le due polarità. Pensate nella politica destra e sinistra. È nata la Lega, i 5Stelle, è nato il terzo polo, ma c’è sempre destra e sinistra e quindi sono sempre configurazioni nuove dove i paradossi rimangono persistenti. Gli attori sociali siano persone, gruppi, organizzazioni, istituzioni sono tutte metaforme, cioè forme che si basano su elementi in perenne mutamento. Gli attori sociali sono sempre immersi in un campo di tensioni e l’equilibrio è sempre provvisorio. Le tensioni salienti, le più importanti, possono lacerare in qualsiasi momento l’equilibrio e innescare una dinamica imprevedibile. Vi è sempre una soluzione, una nuova forma più appropriata, e le nuove forme emergono intorno a punti singolari che agiscono come elementi ordinatori e attrattori.

Nono concetto: autonomia e cooperazione, il mix per navigare nella complessità. Qui parto dal tema del potere. Noi abbiamo un’idea negativa del potere, i poteri forti, il potere dello sfruttamento sul prossimo, eccetera eccetera. Ogni persona ha bisogno di un piccolo pezzo di potere per se stesso, per la sua sopravvivenza, per la sua autonomia. Quindi ciascuno di noi ha bisogno di una minima quota di potere per esercitare la propria soggettività. Il potere è la base dell’autonomia. Quando la complessità aumenta centralmente, non riesci più a governarla. Bisogna decentrare, bisogna puntare sull’autonomia, ma che non deve sfociare nel secessionismo o, peggio ancora, nel conflitto tra autonomie locali. Ecco che serve la cooperazione. Ma perché la cooperazione è un complesso sociale difficile da costruire e facilissimo da distruggere? Perché la cooperazione ha bisogno sostanzialmente di un equilibrio. Mi spiego, quando due persone A e B o due unite o due imprese devono collaborare, alla fine il risultato è di entrambe. Ma il contributo non è mai uguale, 50 e 50 perché i poteri cognitivi, relazionali e finanziari delle due persone sono sempre diversi e quindi se c’è troppa simmetria alla fine uno dice: ma perché io devo mettere di più se poi il risultato devo dividerlo per due. Se voi volete favorire la cooperazione, bisogna aumentare i poteri in questo caso di chi ne ha di meno e lavorare sull’equilibrio. Quindi possiamo dire che se Ashby aveva introdotto la legge della varietà necessaria, ma la varietà contrastava la varietà, nella complessità oltre alla varietà abbiamo la variabilità, l’interdipendenza, abbiamo l’incertezza, l’indeterminazione. Possiamo coniare una legge del potere necessario se vogliamo veramente affrontare la complessità dobbiamo distribuire potere e cercare l’equilibrio. Soltanto l’aumento del potere e del suo equilibrio può generare cooperazione che dà molti risultati e quindi aumenta la fiducia e si innesca un circolo virtuoso.

Decimo concetto: pensiero complesso, azione semplice. Giuseppe Mazzini nel 1858 fece la rivista a Londra intitolata “Pensiero e Azione”. Il pensiero senza l’azione è vano e l’azione senza pensiero è cieca. Se vogliamo arrivare alla semplicità dobbiamo prima affrontare la complessità. Dobbiamo avere un pensiero complesso e poi un’azione semplice. Lo dice anche Giorgio Parisi nel suo ultimo libro: “In fisica e in matematica è impressionante la sproporzione tra lo sforzo per capire una cosa nuova per la prima volta e la semplicità e la naturalezza del risultato una volta che i vari passaggi sono stati compiuti”. Quindi abbiamo bisogno di un pensiero complesso che è un pensiero fluido che esplora e connette luoghi lontani. Ogni porto è solo una tappa provvisoria di una navigazione incessante.

Conclusioni: Siamo pronti? Risponde Shakespeare ogni cosa è pronta se anche i nostri cuori lo sono. Vi ringrazio per l’attenzione”.

Il Prof. Alberto Felice De Toni è professore ordinario di Ingegneria economico gestionale presso l’Università di Udine, Presidente del Comitato ordinatore della Scuola Superiore ad Ordinamento Speciale della Difesa, Direttore scientifico della CUOA Business School e già Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane.